Malan
Università dell’Arte? Prime riflessioni sul disegno di legge Malan e la delega al Governo per la trasformazione dell’AFAM

Con l’ultima iniziativa legislativa presentata dal senatore Lucio Malan, il dibattito sulla collocazione istituzionale dell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica (AFAM) entra in una fase decisiva. Il disegno di legge n. 1497 <https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01457630.pdf> – attualmente in fase di discussione – delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi, uno o più decreti legislativi per trasformare le istituzioni AFAM in strutture universitarie competenti per la didattica e la ricerca nel proprio settore, articolando una serie di princìpi direttivi che impongono una riflessione tanto attenta quanto urgente.

L’impianto della proposta muove da un presupposto radicale: la confluenza dell’AFAM nell’Università non come sistema parallelo o cooperante, ma come parte integrante del sistema universitario nazionale. In tal senso, il disegno di legge supera implicitamente la legge 508/1999, non solo nella forma ma anche nella ratio, puntando a un’omogeneizzazione ordinamentale che solleva numerose questioni di merito e metodo.

AFAM come scienza? La proposta di istituire “Dipartimenti di scienze dell’AFAM”

Uno dei passaggi più significativi è l’ipotesi di istituire dipartimenti dedicati alle “scienze dell’AFAM”, formula che, per quanto suggestiva, resta nella sua formulazione estremamente ambigua. Cosa si intende per “scienza dell’AFAM”? Si ipotizza una nuova area disciplinare che assommi in sé le pratiche artistiche e i loro studi teorici e metodologici, oppure si propone una sovrapposizione ai settori scientifico-disciplinari già esistenti (L-ART, M-PED, SPS, ecc.)? E ancora: è pensabile una strutturazione dipartimentale che riconosca la specificità dei linguaggi artistici nella loro intrinseca alterità rispetto ai modelli epistemologici delle discipline accademiche tradizionali?

La proposta rischia, in questo senso, di ridurre l’identità dell’AFAM a un’imitazione del sistema universitario, che nel tempo ha già mostrato i suoi limiti nella gestione delle arti performative. Più che istituire “scienze dell’AFAM”, sarebbe forse più opportuno valorizzare l’AFAM come scienza in atto: un sapere incorporato, incarnato, riflessivo, che si manifesta nelle pratiche e nei processi artistici e che va compreso secondo paradigmi propri, magari in dialogo ma non subordinati a quelli accademici.

Inquadramento del personale: nodo cruciale

Altro punto nevralgico è il transito del personale nei ruoli universitari. Il testo prevede un inquadramento di docenti e personale tecnico-amministrativo nei ruoli e nelle qualifiche universitarie, con mantenimento a domanda, fino a esaurimento dell’incarico, delle funzioni e del trattamento economico per chi proviene dal sistema AFAM. Si tratta di una soluzione ibrida e transitoria che tuttavia non affronta il tema della carriera docente AFAM, né quello della sua equipollenza scientifica e produttiva nel contesto universitario.

Come si valuta, ad esempio, la produzione artistica nella VQR universitaria? Quali criteri saranno adottati per l’accesso e la progressione in carriera nei nuovi dipartimenti? Il rischio concreto è che, in assenza di parametri condivisi e coerenti, si generi un sistema a doppia velocità che penalizza la specificità artistica o ne richiede forzatamente l’adattamento a modelli estranei.

Una razionalizzazione o una dissoluzione?

Nel prevedere la riorganizzazione territoriale delle sedi e la possibilità di convenzioni con istituti privati, il disegno di legge sembra voler rispondere a una logica di razionalizzazione dell’offerta formativa. Tuttavia, anche in questo caso, si fa fatica a intravedere una visione sistemica che tenga conto del radicamento storico e territoriale delle istituzioni AFAM, della loro autonomia progettuale e del valore delle specifiche comunità artistiche che esse ospitano.

Si potrebbe sostenere che l’integrazione con l’università porti risorse, visibilità, infrastrutture. Ma è altrettanto lecito temere che la dissoluzione dell’AFAM come sistema autonomo privi il nostro Paese di un modello che, pur con le sue criticità, ha saputo coltivare eccellenze artistiche riconosciute a livello internazionale, spesso proprio grazie a una gestione differenziata e a un contatto diretto con il mondo della produzione culturale.

Quale futuro per il sistema?

Se questo disegno di legge rappresenta una svolta, essa va interrogata nel merito: quale idea di formazione artistica vi soggiace? Quale visione strategica delle arti per il Paese viene qui promossa? La trasformazione in atto – se non accompagnata da un’adeguata riflessione culturale e politica – rischia di ridurre la complessità dell’AFAM a una funzione ancillare dell’università, perdendo proprio quelle caratteristiche che l’hanno resa un laboratorio fecondo di innovazione artistica e formativa.

Come ANDA, riteniamo fondamentale che ogni intervento riformatore sia accompagnato da un ampio confronto con le comunità accademiche e artistiche dell’AFAM, da una valutazione comparata con modelli europei, e da una consapevole difesa del pluralismo istituzionale. L’integrazione è un’opportunità solo se non equivale a una cancellazione dell’identità.

In questo senso, l’articolo 1 del disegno di legge pone domande più che offrire soluzioni. Come tali, queste domande vanno raccolte, discusse e trasformate in proposta politica concreta. Il destino dell’AFAM non può essere scritto senza l’AFAM.

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