Chi ha paura delle Accademie
Chi ha paura delle Accademie?

L’Italia celebra la cultura in ogni occasione. Ma troppo spesso dimentica chi la costruisce, la insegna, la trasmette ogni giorno nei luoghi della formazione artistica. Accademie, Conservatori e ISIA sono ancora percepiti come realtà “altre”, residui di un passato glorioso, quando in realtà sono laboratori attivi, dove si coltiva – con rigore e dedizione – l’intelligenza della mano e del pensiero.

Non basta definirsi “Paese della cultura” a colpi di slogan. Nei discorsi ufficiali si ripete che l’arte è “il nostro petrolio”, la musica “un’eccellenza”, i giovani creativi “una risorsa da valorizzare”. Ma dietro queste formule, troppo spesso, si nasconde la disattenzione verso i luoghi in cui la cultura si forma davvero.

Istituzioni storiche, radicate nei secoli, che ancora oggi tengono viva la trasmissione del sapere artistico. Eppure, chi vi opera – docenti, studenti, personale tecnico-amministrativo – combatte quotidianamente con precarietà, sottovalutazione politica e marginalizzazione culturale. La cultura viene celebrata, ma non sostenuta. L’arte viene applaudita, ma non ascoltata.

Raccontare la storia di queste istituzioni – dall’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, madre di tutte le accademie europee, fino ai conservatori nati a Napoli – significa ricordare che la cultura non si improvvisa: si studia, si tramanda, si pratica. E che chi la custodisce merita rispetto, riconoscimento e risorse.

Le accademie e i conservatori non sono solo luoghi di formazione: sono pilastri della civiltà europea. La loro nascita risponde a un’esigenza profonda: trasmettere sapere e bellezza attraverso lo studio e la riflessione. Rivendicarne il ruolo oggi significa riconoscere la cultura come bene comune e fondamento del pensiero critico.

Le radici di tutto questo affondano nel Rinascimento fiorentino. Già nel Trecento esisteva la “Compagnia di San Luca”, confraternita di pittori che vide tra i suoi membri Donatello, Ghiberti, Leonardo e Michelangelo. Ma fu nel 1562, per volontà di Giorgio Vasari e sotto l’egida di Cosimo I de’ Medici, che nacque l’“Accademia delle Arti del Disegno”: la prima istituzione accademica dell’arte moderna in Europa. Quella fondazione segnò una svolta: l’artista venne riconosciuto come intellettuale, non più solo artigiano. Da allora, il sapere artistico si fonda sulla combinazione di pensiero, tecnica, disciplina.

Nel frattempo, a Napoli, nascevano i primi conservatori: inizialmente istituti per orfani, come il Santa Maria di Loreto, il Poveri di Gesù Cristo, S. Onofrio a Capuana, la Pietà dei Turchini, si trasformarono in scuole musicali d’eccellenza, destinate a formare i grandi interpreti e compositori della musica europea.

Eppure, oggi, queste istituzioni vengono ancora trattate come marginali. Difendere queste istituzioni non è un atto nostalgico, ma un dovere civico. È un diritto sancito dalla nostra Costituzione, dall’articolo 33: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. Le istituzioni di alta cultura, università e accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato»,

Accademie, Conservatori e ISIA sono a pieno titolo Università delle arti. Lo sono per tradizione, per funzione e per diritto. Formano artisti, progettisti, musicisti, ballerini, attori, pensatori. Sono università a tutti gli effetti e devono essere riconosciute, sostenute e promosse come tali.

Questo significa attribuire piena dignità a chi vi opera: ai docenti, con uno status giuridico e retributivo finalmente allineato agli altri settori dell’alta formazione; al personale tecnico-amministrativo, parte essenziale della vita didattica e istituzionale; agli studenti, attraverso il riconoscimento corretto e pienamente equiparato dei titoli nelle denominazioni di laurea. 

Le accademie e i conservatori non sono musei viventi, ma officine del futuro: luoghi dove si sperimenta, si innova, si tiene viva la memoria attraverso il gesto e il pensiero. Chi li frequenta oggi non replica un’eredità: la rinnova. E costruisce, ogni giorno, la cultura di domani.

Difenderle significa investire in una società più consapevole, più libera, più sensibile. Perché il sapere dell’arte è – e deve restare – un bene comune.

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